Vittorio Imbriani nel Nuovo Mondo, tra ucronia e fiaba
Con Giuliano Cenati e Giovanna Rosa
Che cosa sarebbe successo se Cesare Borgia, l’astuto statista scrutato da Machiavelli nel Principe, fosse sopravvissuto alle sue sfortune politiche? E se avesse viaggiato verso le Americhe, alla ricerca di una favolosa principessa capace di pietrificare con gli occhi? Sono queste le domande a cui Vittorio Imbriani, nel 1875, fornisce una risposta romanzesca con L’impietratrice, una delle primissime opere finzionali di storia alternativa della letteratura italiana. Il Risorgimento, da poco compiuto, gli sta stretto: le mediazioni della politica parlamentare, anche quando si tratta di trovare equilibri un poco diversi entro una classe dirigente dai contorni assai ristretti, come quella del neonato Regno d’Italia, sembrano sminuire la maestà dello Stato e della Corona che Imbriani coltiva da buon hegeliano. Peraltro, il suo successo politico modesto, che non si spinge oltre il livello locale, sollecita ulteriormente gli acri spiriti della sua insofferenza.