#BCM2020 - Diario di bordo 12 novembre

12/11/2020

Questa è per me la prima esperienza all’interno di BookCity, così a stretto contatto con questa realtà che sto avendo modo di conoscere giorno dopo giorno. Scrivo e provo a sintetizzare la prima intensa giornata di eventi che si appresta al termine, mentre in sottofondo assaporo le melodie antiche e allo stesso tempo così attuali del concerto “Terranostra in musica - Suoni dal Mediterraneo” dell’Ensamble di World Music del Conservatorio di Milano. Non potevo sperare in una conclusione di giornata migliore, mentre i volti dei personaggi incontrati oggi e le mille riflessioni riaffiorano lentamente insieme a queste note e armonie che provengono dal Mediterraneo, dal mare nostrum ma che alla fine è anche il mare di tutti. I temi che si intrecciano nelle giornate di BookCity sono tanti, vari, potenti, storie di vita del presente e del passato; si affrontano in poche ore, ma non con superficialità, i problemi profondi che affliggono la nostra attualità, si presentano libri di critica, analisi sottili, romanzi emergenti e grandi classici. Si ha l’opportunità di ascoltare coloro che credono nella forza della parola, coloro che con le parole ci lavorano ogni giorno, che esse passino attraverso la carta, la musica o lo schermo. C’è una vera e propria contaminazione di tematiche a BookCity così come c’è una profonda contaminazione di suoni e culture in ciò che sto ascoltando: musiche dal Mediterraneo, culla della nostra civiltà, da sempre mare che unisce, non tomba che separa. Mentre concludo questo breve diario di bordo, come se fosse il diario di un avventuriero, penso che in fondo in fondo oggi mi sono sentita un po’ viaggiatrice. Anche se solo attraverso uno schermo, grazie a BookCity, ho avuto modo di alzarmi da questa sedia e varcare la porta di questa stanza, scoprire un pezzetto di mondo che non conoscevo, ascoltare voci che hanno tanto da raccontare e incontrare persone che mi/ci hanno offerto la loro visione personale e professionale del mondo, della cultura, del libro.

                                                Chiara Diegoli

Sono seduta a letto. L’ultimo evento della seconda serata di Milano BookCity è terminato da pochi minuti e io sono intenta a leggere gli appunti presi. È stata una giornata di domande e piccole scoperte. Per esempio, voi sapevate che siamo più vicini al modello sociale della Sparta del V secolo a. C. piuttosto che dell’Atene dello stesso periodo? Ma andiamo con ordine e torniamo ai miei appunti. Soltanto ora, soltanto leggendo le piccole frasi di ogni conferenza che mi ero segnata, mi rendo conto di avere inconsciamente seguito per tutta la giornata un tema ben preciso: la figura della donna, di donne forte, per essere più precisi. Il mio BookCity Milano di questo 12 novembre è iniziato con Incontri speciali, incentrato sulla scrittrice e attrice Francesca d’Aloja e sul suo libro di recente pubblicazione “Corpi speciali”, che narra le storie di uomini e donne di grande talento, alcuni conosciuti personalmente e altri raccontati attraverso ricostruzioni narrative. Della scrittrice, che sono certa avrebbe volentieri fatto notte raccontando aneddoti di suoi incontri con personaggi famosi (e io l’avrei fatta senz’altro con lei), mi ha colpito particolarmente il concetto con cui ha aperto la conferenza, che poi è lo scopo stesso per cui ha scritto “Corpi speciali”: parlare di una persona equivale a rivendicarla nei confronti del mondo, restituendole una parte dell’onore che in vita non aveva ricevuto. Questa frase mi ha portata a pensare al periodo in cui scrivevo la mia tesi di laurea (un’analisi su un’artista surrealista) e del peso che sentivo gravarmi addosso: quale è il modo corretto per raccontare una persona? Nella conferenza se ne è discusso a lungo: non è un’operazione semplice, dal momento che si tratta del trasferire la tridimensionalità dell’essere umano nella bidimensionalità della scrittura, come afferma Emanuele Trevi, altra voce dell’evento. È una questione di selezione di momenti, afferma Francesca d’Aloja. Quali? La mia domanda rimane senza risposta ma, quando l’evento termina, ho la sensazione di aver appena finito di ascoltare una grande donna.

La seconda conferenza a cui ho partecipato si intitola Impossibile reprimerle (meglio anzi non provarci neppure), un intervento a più voci incentrato sulla figura della donna nella tragedia greca. I nomi di queste eroine tragiche si susseguono in fretta e a mano a mano che viene narrata la storia di Clitemnestra, Alcesti, Medea e altre, prendo coscienza di una triste verità: queste donne così forti e coraggiose, fin quasi delle “femministe” ante litteram, iniziavano e finivano all’interno dei teatri; la stessa donna ateniese che forse (le fonti non dicono) andava a teatro a vedere queste eroine viveva una realtà completamente differente: non aveva potere politico e giuridico, raramente poteva permettersi di uscire di casa e i figli non erano nemmeno considerati propri, ma unicamente del padre, lei era considerata soltanto il “contenitore".

E ora torniamo alla piccola curiosità che mi sono lasciata sfuggire a inizio resoconto: nella Sparta del V secolo a. C. la donna aveva un ruolo attivo nella società e, a riprova della sua importanza, nel caso in cui fosse morta di parto, il suo corpo veniva sepolto in un’area apposita, accanto ai guerrieri più valorosi deceduti in battaglia. Fa strano, vero? Fin da bambini a scuola ci inculcano in testa che gli spartani pensavano solo alla guerra e che il vero popolo civilizzato, quello “democratico”, erano quello ateniese. Poi partecipi a BookCity e la tua prospettiva si ribalta completamente. È la magia di queste rassegne.

L’evento serale, il terzo e ultimo, mi ha fatto invece immergere nella Roma del ‘600 e tornare in un ambiente a me più familiare: l’arte. Restituire una voce e una storia. Plautilla Bricci architettrice, questo il suo titolo, è stata la presentazione del romanzo storico “L’architettrice”, edito l’anno scorso da Einaudi. Durante la conferenza, la scrittrice Melania Mazzucco ci ha portato alla scoperta di questa insolita figura, quasi totalmente dimenticata dalla storia dell’arte: una donna di estrema versatilità, capace di passare con facilità dalla pittura di grande formato alla miniatura e, ancora, all’architettura. In grado quindi di muoversi agevolmente in campi a quel tempo considerati prettamente maschili. Avevo molto sentito parlare di questo romanzo nell’ultimo anno, ma ero sempre stata indecisa se leggerlo. Dopo questa serata ho la certezza che molto presto finirà nella mia libreria. Ed ecco un altro punto a favore di BookCity Milano.

                                                      Gaia Pesce

Per me quest’anno è stata la prima esperienza in BookCity e devo dire che nonostante avessi già aspettative molto alte, l’evento in sé le ha di gran lunga superate. Purtroppo, a causa dell’emergenza sanitaria che stiamo attraversando, questa “festa”, nel significato più intrinseco del termine, non si è potuta celebrare fisicamente. La parte digitale di noi però ha voluto esserci, perché sono gli eventi come questi ciò di cui abbiamo bisogno ora. L’incontro sul libro d’artista mi ha coinvolto in una maniera tale da non potermici staccare: è stato un vero e proprio scambio culturale sul tema della lingua italiana e di quella latina, madre generatrice di tutti gli altri idiomi. L’aspetto interessante è stato il processo di analisi della lirica di Geraldino e l’importanza data al testo poetico nel suo comunicare attraverso le parole. Sono una grande appassionata di poesia, ma forse ancor di più di parole e comunicazione, il mio ambito di studi; il processo di interazione fra due individui e la capacità di comprendersi reciprocamente nel corso di un dialogo, penso si possa paragonare ai due poli opposti di autore e fruitore, in ambito poetico. L’autore ha il compito di comunicare, di lanciare un messaggio che possa essere colto dal suo pubblico, un messaggio che faccia trasparire significati intrinseci e che permetta al destinatario di personificarsi in ciò che legge. Il ruolo di colui che riceve non è sicuramente fine a se stesso, trovo anzi che sia molto più complesso rispetto a quello dell’ideatore del testo: il fruitore ha il compito di interpretare, e Dio solo sa quante interpretazioni sono contenute all’interno di un’opera. Ognuno percepisce il messaggio secondo le proprie sensazioni, il proprio bagaglio culturale, i propri sesti sensi ed è quello che oggi ho fatto io in questo incontro: interpretare il ruolo delle parole. Nonostante non si siano potuti toccare con mano i libri, le copertine e non ci sia potuto stringere le mani, BookCity è stata un’esperienza memorabile per tutti e lo sarà nel corso dei prossimi tre giorni. Le persone non si sono fermate di fronte all’ostacolo del “digitale”, anzi hanno colto l’opportunità, mostrandosi numerose e interessate, supportando i nostri ospiti e incoraggiandoli verso un 2021 migliore. Io in prima persona ho avuto queste sensazioni, ho avuto la percezione di una partecipazione attiva e presente, permessa anche dal supporto di un gruppo di persone volontarie che hanno gestito l’omnicanalità, ossia la comunicazione in tempo reale su diversi punti di contatto. Concludo ringraziando BookCity per quest’esperienza, nella speranza che il prossimo anno ci si possa incontrare e festeggiare la forza delle parole perché, secondo Paulo Coelho “possiamo avere tutti i mezzi di comunicazione del mondo, ma niente, assolutamente niente, sostituisce lo sguardo dell’essere umano.”

                                                Anna De Bortoli

Metamorfosi. Le cose che cambiano sono sempre importanti nei libri, mi ricordo di un altro BookCity in cui ero andato a sentire Sofri, uno che i cambiamenti li ha fatti, li ha vissuti e li ha subiti. E raccontava del suo viaggio alla scoperta di Kafka e di Gregor Samsa, della metamorfosi forse più famosa di tutta la letteratura. Sono pensieri strani alle 9 del mattino, ma si parla di Sarah Kane, del suo teatro controverso, di una donna che ha vissuto il dramma di una condizione psicologica che l’ha portata al suicidio poco dopo aver scritto quello che sarebbe diventato il suo testo più conosciuto, “4:48 Psychosis”. Viviamo in un mondo multimodale, una di quelle parole che facciamo ancora fatica a identificare ma che ci indica come le cose non possano fare a meno di essere connesse fra di loro, come le forme si intersechino e sia sempre più anacronistico costringersi in una visione fatta di barriere, di spazi stretti e regole rigide. Sembra un assurdo parlare di luoghi fluidi quando il panorama del mio BookCity non cambia da un evento all’altro, le pareti rimangono quelle della mia camera, la scrivania sempre la stessa e l’unica cosa che si svuota e riempie è la tazza del caffè. Ma forse è proprio questo che ci raccontano le metamorfosi, di un mondo che cambia e non smette di farlo, di come ogni cambiamento sia occasione per riflettere su ciò che ci circonda. Di come seduto su una sedia tu possa viaggiare fra la Grecia Antica e la Roma del ‘600 e scoprire nuovi volti del tuo presente. Di come sia importante ricordare l’incredibile valore dei rapporti umani nel racconto delle nostre vite.

                                                Bleiz Del Sette

Durante questa prima giornata ho seguito tre eventi, tutti accomunati dal tema filosofico e/o spirituale e dalla mia personale voglia di addentrarmi nella mia mente attraverso di essi.

La voce delle Sirene. I Greci e l’arte della persuasione. Mi ha ammaliato il discorso dell’autrice Laura Pepe, che spiegava come la persuasione nell’antica Grecia fosse vista come una qualità prettamente femminile. L’uomo conquistava con la forza, la donna persuadeva.
È stato affascinante ascoltare la morbidezza con cui i Greci vedevano questa caratteristica (secondo loro) femminile e sentirla paragonare dall’autrice alla visione della virilità del tempo; il risultato è stato un dinamico miscuglio di passioni e contrapposizioni.
Il modo rispettoso e sagace con cui l’autrice rapportava problematiche odierne, come l’immigrazione, con il passato è stato fonte di ispirazione e stimolo alla riflessione. L’aspetto che mi ha maggiormente colpito è la grande differenza tra il cadere nel tranello della persuasione e il decidere di essere sua vittima, partecipando al suo stesso gioco.

Terra nostra? La casa dell’umano e l’ecocidio imminente. Il secondo evento è stato un viaggio guidato da episodi e figure della Bibbia nell’attualissimo tema dell’ecologia. È sempre interessante notare come il passato possa aiutare il presente e come figure che rappresentano il passato come Noè e il Papa, possano essere essenziali per il nostro futuro; è stato Papa Francesco infatti a rende l’ecocidio un peccato, definendolo un crimine contro noi stessi e contro Dio. La discussione si è poi spostata su riflessioni essenziali per i nostri giorni, come il significato della parola “abitare” e il cambiamento dell’uomo nei secoli, che da coltivatore è diventato distruttore, alimentato dalla voglia di possedere e dominare. Si è parlato di un uomo che per la prima volta, inizialmente senza rendersene conto e ora in maniera perfettamente cosciente, tra la vita e la morte, ha scelto la morte.

Raffaele Milani e la condizione neocontemplativa. Dopo due eventi i cui temi e ospiti mi hanno conquistata il terzo è stato una piccola delusione. Perfettamente consapevole dei miei limiti, ammetto di non avere una preparazione filosofica esaustiva, questo mi ha impedito di “stare al passo” con uomini estremamente colti e intelligenti come Franzini, Miliani e Venturi Ferriolo. Quello che mi è sembrato di capire, però, è che l’autore, tra un libro e l’altro, sembrava quasi aver dimenticato di alzare lo sguardo e adattare il sapere antico al mondo in evoluzione. Tutti i concetti espressi durante l’evento, come la perdita dello sguardo e del senso di origine, li ho condivisi e riconosciuti a malincuore come veri, con la differenza però che io - probabilmente nella mia ingenuità - non li ritengo completamente scomparsi, ma solo meno frequenti o riadattati. Credo fermamente che il mondo non sia triste e avvilente come l’autore lo ha descritto e che ci siano tanti giovani che apprezzano il mito, la cultura e la storia. Credo, o forse lo spero e basta, che nel futuro ci saranno tanti sguardi costruttori.

                                            Benedetta Caccamo

Se devo trovare una parola che descrive la mia giornata di oggi a BookCity, questa probabilmente è intermedialità, ovvero la possibilità di passare da un medium a un altro. Il primo evento che ho seguito è Engaging the reader 2020 (parte I). Il viaggio delle storie tra carta, video, comics & games, organizzato dai Master di booktelling ed editoria dell’Università Cattolica. Si è parlato di adattamento del libro a film, serie tv e videogiochi (che non è una traduzione ma una trasmutazione), di interdisciplinarità e della partecipazione attiva dello spettatore. Alle 12:00 ho assistito all’apertura al pubblico della mostra virtuale Pensando la natura. Giovani artisti raccontano, creata da ventitré studenti dell’Accademia di belle arti di Brera durante il periodo del lockdown, lavorando nella loro abitazione con i mezzi a disposizione (dalla realizzazione fino alla fotografia dell’opera) e conducendo una riflessione sul rapporto tra uomo e natura. Poi è arrivato un evento che in realtà faceva già parte del mio calendario usuale: una lezione (questa volta “a porte aperte”) della professoressa Dubini, che, con l’ospite Francesca Spiller, ha trattato il tema di Contemporary magazines: rethinking the publishing industry through new communities, spiegando come le riviste indipendenti utilizzino i digital media e delle differenze nei valori, nel marketing e nella distribuzione rispetto ai magazine più di massa e più “tradizionali”. I prossimi eventi nella mia lista purtroppo sono in parte sovrapposti, per cui alle 17:30 passo da Ragazza, donna, altro, dove l’autrice Bernardine Evaristo dialoga sulla sua raccolta di racconti vincitrice del Booker Prize che esprime le voci di dodici donne, a Giovani autrici a confronto, in cui giovani autrici ex-studentesse della NABA parlano dei loro libri d’esordio, in cui osservano la contemporaneità per raccontare le prospettive, le visioni, gli smarrimenti e le sensazioni della propria generazione, parlando di identità di genere, di indisciplinatezza, di arte e di femminismo. Fortunatamente in questa edizione tutto è registrato, per cui potrò finire di vedere Ragazza, donna, altro nei prossimi giorni, insieme a tutti gli altri eventi che mi sono persa poiché sovrapposti a quelli che ho seguito.

Questa per me è stata una giornata ricca e arricchente, una di quelle che ti riempiono la testa di spunti che ti implorano di essere portati avanti. Le giornate così sono giornate belle, che quando finiscono ti fanno sentire esausta e con il bisogno di un po’ di vuoto per metabolizzare.

                                            Alice Nguyen-Trinh